Ci sono tutte le parole della politica nel prezioso libro del Prof. Gianfranco Pasquino, emerito all’Università di Bologna e socio dell’Accademia dei Lincei: rivisitate e aggiornate rispetto alla precedente edizione del 2000. Da ‘antipolitica’ a ‘ulivo’ il frasario ricorrente nelle esternazioni e nei siparietti televisivi delle giaculatorie mandate a memoria, ma anche nelle stanze e aule nobili delle istituzioni ascoltate in questo quarto di secolo, viene descritto utilizzando gli stilemi linguistici sopravvissuti alla vera alternanza del politicamente corretto: quella della parola, sovente ridotta a mero e vuoto flatus vocis.
Ai tempi della famigerata Prima Repubblica quando le alleanze non reggevano più si faceva ricorso ai “governi ponte”, ai “governi balneari”, “di transizione” e a quelli per “il disbrigo degli affari correnti”: termini oggi desueti, al pari di ‘compromesso storico’, ‘convergenze parallele’, ‘manuale Cencelli’, ‘equilibri più avanzati’, ’politica dei due forni’, ‘strategia dell’attenzione’, di fatto spariti dal dizionario oggi prevalente e sostituiti da mappe concettuali adatte ai tempi. Il vero rinnovamento da tutti auspicato finisce in un gioco di parole nuove.
Allora nessuno si ispirava apertamente a Max Weber, infatti non si parlava di beruf o competenza, ma la scaltrezza delle argomentazioni era affinata nei congressi di partito, qualche calibro da novanta emergeva lo stesso per attitudine e vocazione, si formavano parvenze di idee e di pensiero.
La società non era liquida, complessa, trasparente e neppure mucillaginosa come la descrive oggi Giuseppe De Rita: il radicamento e i conflitti erano prevalentemente ideologici come il senso di appartenenza, nessun cattolico o comunista o liberale si sarebbe mai sognato di riciclarsi cadendo sulla via di Damasco (e neppure su quella di Roma).
Il sistema elettorale era rigorosamente proporzionale e il partito di centro sceglieva quei tre o quattro satelliti che gli consentivano una continuità camuffata da discontinuità.
In genere – mi riferisco ai capipopolo – era gente che sapeva il fatto suo anche se più portata a gestire l’esistente che a programmare il futuro, ne è prova il debito pubblico spaventoso ereditato che tramanderemo, considerato il nuovo poi sopravvenuto e quello che avanza, “omnia saecula saeculorum”.
Infatti l’insegnamento prevalente messo in circolazione era quello dei diritti da conquistare e non quello dei doveri da imparare: di buoni esempi non ne abbiamo avuti molti, c’è stato un crescendo di rivendicazioni e l’etica prevalente è da sempre quella di superarsi a vicenda, quanto alla gratitudine – o mores o tempora – alla fine ci è rimasta solo quella del giorno prima: anche questa pessima tradizione si è rinsaldata ed esce indenne dai richiami dell’etica, del buon senso e della ragione.
Ora che abbiamo cambiato secolo, millennio e classe politica mentre le ideologie sono state travolte insieme agli ideali, molti problemi sono rimasti, altri solo cambiati e ne sono arrivati dei nuovi in quantità incommensurabile. La competenza e la sagacia del Prof. Pasquino prendono le misure alla politica dell’oggi e alla fin fine dimostrano – con esempi e analisi scaltrite e circostanziate – che le differenze tra il dire e il fare rimangono e forse sono amplificate e dissonanti rispetto alla capacità di leggere e interpretare i bisogni della gente: la ‘fuffa’ resta intatta e si conserva bene, come già in esordio di questa aggiornata edizione l’autore ben evidenzia, paventando subito il pericolo che persuasione e imbonimento siano la premessa di una ricorrente manipolazione sociale. Leggendo questo libro che mette a nudo i molti difetti e le poche virtù di una politica definita “pasticciata e pasticciona e di una “democrazia di qualità molto bassa e sicuramente insoddisfacente”, nessuno si aspetta di trovare parole che non si ascoltano mai: umiltà, dedizione, etica, coraggio, considerazione, umanità, responsabilità, competenza… che non sono solo termini abbandonati e inusuali ma che esprimono l’assenza di corrispettivi sentimenti di interpretazione dei bisogni individuali e collettivi.
Non indulge a retorica il Prof. Pasquino e non si dichiara neutrale: desidera una democrazia maggioritaria e bipolare, ribadisce il dovere di votare, non giustifica l’astensione elettorale, il disimpegno e l’indifferenza perché politica vuol dire partecipazione, passione ed emozioni così come non si rassegna ad una classe politica composta da burocrati e carrieristi. Tutto questo suffragato da un’analisi erudita e scientifica, perché bisogna sottrarsi alla tirannia delle parole: la vera cultura si nutre di riflessione, pacatezza, temperanza.
Come il Prof. Pasquino sa, ci sono in giro anche esempi da imitare, in genere silenti e nascosti: sono le persone rette che conquistano l’adesione dei cittadini, poiché esprimono coerenza tra idee e azioni. Ma ci sono anche molti “dottor sottile”, depositari di una eredità culturale autoreferenziale, che cercano cavilli, puntualizzano, si compiacciono di elaborazioni semantiche sempre più ardite. Costoro ricordano i monsignori presi di mira da Voltaire: persone molto più impegnate a gareggiare nel distinguersi tra di loro che nell’assomigliare a Cristo. E questa metafora valga anche in senso laico, per chi si atteggia ad essere l’ultimo defensor fidei.